Romain Bardet torna di nuovo sulla tremenda caduta di Julian Alaphilippe alla Liegi-Bastogne-Liegi, un episodio che ha scosso tremendamente il corridore del Team DSM e che, seppur con un quadro clinico certo non roseo, poteva avere conseguenze drammatiche per il campione del mondo in carica. 

Bardet accetta di riparlarne con Gaetan Scherrer de L’Equipe («un’ultima volta per non tornarci mai più»), ancora sotto shock. Il quotidiano francese dedica le prime quattro pagine dell’edizione odierna a questa testimonianza drammatica.

Il francese ha raccontato di aver temuto che il campione del mondo potesse restare paraplegico, attacca quelli che non si sono fermati e chiede che nel ciclismo ci siano meno kamikaze. 

«Ci sono sempre state, le cadute in bicicletta. Ma questa è stata particolarmente violenta. È ancora difficile per me parlarne. Ricordo il rumore dei caschi sbattuti contro l'asfalto, le grida di dolore dei ragazzi a terra. Quando cadi a questa velocità, con i dischi che ti tagliano come rasoi, diventa una roulette russa. La mia paura, in questa situazione, è prendermi una lama in gola. Non controlli nulla una volta che sei coinvolto nel caos. Quando uno davanti a te cade a più di 50 all'ora, in tre o quattro file, tutti ci rotolano sopra, lo colpiscono. Stavamo andando a più di 70 all'ora, la superficie non era buona. Ho avuto l'impressione di essere lungo la discesa di una località dove c'era stato gelo per tutto l'inverno. C'erano molti buchi dove siamo caduti. Su un asfalto perfetto, saremmo passati senza incidenti.  Era il momento della gara più favorevole al dramma. Sentivo che la tensione stava crescendo da tempo. Era molto pericoloso già a 100 km dal traguardo, la bagarre non era ancora iniziata, tutti erano ancora freschi e lucidi. Tutto si è bloccato come sempre in cima alla Haute-Levée, sulla strada principale, la caduta è arrivata un po’ più avanti, perché alcuni ragazzi un po' al limite, sono piombati da dietro pensando che fosse la loro ultima possibilità, che se non fossero preso il Col du Rosier stando davanti, si sarebbero staccati. Quindi tutti insieme, e voilà». 

Bardet racconta addirittura di non ricordare proprio tutto. C’è come un buco nella sua ricostruzione. 

«Non so nemmeno se sono caduto o no. So di essere stato dietro Tom Pidcock e Jérémy Cabot, stavo cercando di mantenere un piccolo margine di sicurezza su di loro, ho sentito l'onda arrivare. Ho avuto il tempo di frenare, di dirmi che era finita, la mia stagione era finita e da lì non ricordo più niente. Nell'immagine successiva ci sono io nel fosso con Julian Alaphilippe. Non sapevo nemmeno dove fosse finita la mia bici in quel momento. So di essere stato colpito da dietro, credo di essere caduto, ma non ho ferite addosso, non lo so, non ricordo. Mi mancano quattro-cinque secondi. Ho visto Julian, davvero in cattive condizioni. Riusciva a malapena a respirare, senza a parlare, senza muoversi. E lì ho avuto un lampo, l'impressione di essere stato l'unico a vederlo soffrire, mentre la corsa continuava, senza badarci. Le moto sono ripartite, anche le macchine, e io lì, nel fosso, a urlare da solo nel vuoto, senza nessuno che mi sentisse. È stata un'angoscia immensa. Pensavo che sarei rimasto lì, tutto solo, per sempre. Sono tornato in strada e per poco non venivo abbattuto da un direttore sportivo completamente pazzo, che voleva tornare al fronte. A volte, l’umanità... (sospira). Sembravano prenderla come se fosse stata una cosa normale, come se la corsa avesse la precedenza su tutto il resto. Quasi mi meraviglio che non sorridessero e si dicessero: - un avversario in meno. Sto esagerando, eh, ma ai loro occhi era un incidente come un altro. Non esistono regole stabilite, ma esiste una decenza».  

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