L'olandese racconta il proprio calvario. Adesso si sta preparando per tornare a correre
Il ricordo più scioccante del 2020 è la caduta di Fabio Jakobsen alla prima tappa del Giro di Polonia, quando venne spinto oltre le transenne da Groenewegen. Angoscianti anche i giorni in cui lo sprinter olandese ha lottato tra la vita e la morte. A distanza di tanti mesi, ormai, Jakobsen ha concesso la sua prima intervista al giornalista Thijs Zonneveld, suo connazionale, cui ha raccontato l'angoscia di quei giorni di terapia intensiva in ospedale: "Non c'era nulla che si potesse fare, se non pregare sperando di non morire".
Fabio Jakobsen non ricorda nulla dell'ultimo km di quella prima tappa al Giro di Polonia. Ma riesce a raccontare gli attimi successivi alla caduta: "C'era sangue dappertutto. I tifosi a bordo strada non facevano nulla. Erano terrorizzati da quel che vedevano. Quando è arrivato il mio compagno di squadra Florian Senechal ha visto che stavo annegando nel mio stesso sangue. Avevo il panico negli occhi. Mi ha sollevato un po' la testa e già questo mi ha salvato. Poi s'è avvicinato il dottore della UAE, Dirk Tenner, che è medico di pronto soccorso ed ha preso in mano la situazione fino all'arrivo dell'elicottero".
Indotto già all'arrivo in ospedale in coma farmacologico, Jakobsen non ricorda nulla dei giorni immediatamente successivi alla caduta. La sua fidanzata, Delore, racconta: "Aveva il volto deformato, con punti di sutura ovunque. Lo riconoscevo solo da ciglia e sopracciglia. In testa aveva un tubo per drenare il liquido cerebrale e Fabio non riusciva ad aprire la bocca. Qualche tempo dopo, quando l'ha aperta, non aveva più denti, palato e una parte della mascella. Da dentro la sua bocca, si vedeva... il naso!".
Prosegue Fabio Jakobsen: "Sentivo che stavo morendo e avevo paura di morire. Mi ha preso il panico ed ha peggiorato le cose. Per calmarmi, mi hanno dovuto dare altri farmaci. Dormivo, ma quando mi svegliavo pensavo solo alla morte: sono stati i giorni più lunghi e terribili della mia vita".
"Un giorno è arrivato un sacerdote. Ha chiesto di sedersi accanto a me e di leggermi un libro in italiano. Ho annuito, anche se non sono credente. Ha pregato per farmi sopravvivere, ma forse anche per prepararmi un posto in Paradiso".
Adesso, fortunatamente, Fabio Jakobsen si è ripreso, ma ci vorrà ancora un anno di operazioni per rimettere a posto faccia e denti. Però ha ripreso ad allenarsi e spera di tornare a correre verso agosto. Non ha più visto Groenewegen, che pure gli ha chiesto di incontrarlo per scusarsi. Ma Jakobsen ancora non se la sente. E sull'incidente dice: "Non ho la testa ancora preparata per vedere Dylan e per scusarlo. Non riesco ancora a capire perchè l'abbia fatto. Non mi ha visto? Voleva vincere a tutti i costi? Non lo so. Ma il ciclismo è qualcosa di più di vedere la boa dei 200 metri e poi il traguardo. E' più che spingere sui pedali come un matto. E' uno sport, non una guerra senza regole né restrizioni!".
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