Fantacycling intervista il presidente dei direttori sportivi: "Si può invertire la tendenza"
Adispro è l’associazione italiana che raggruppa i direttori sportivi del ciclismo nazionale con lo scopo di tutelare gli interessi professionali incoraggiando iniziative utili alla categoria.
A guidarla c'è Davide Goetz, avvocato, che lo scorso novembre è stato rieletto presidente all'unanimità così come il Consiglio direttivo composto da Mario Chiesa (segretario) e i consiglieri Luca Guercilena, Andrea Peschi, Flavio Miozzo, Bruno Cenghialta e Fabio Baldato.
Fantacycling ha intervistato Goetz per conoscere lo stato di salute del ciclismo italiano visto da Adispro.
Come è diventato presidente dell'Adispro e si è avvicinato al mondo del ciclismo?
"Negli anni 80 ho corso in bici come dilettante di buon livello, con premi e stipendi mi sono finanziato i successivi studi universitari, vivevo già da solo. Alla fine degli anni 90 Leo Levati mi chiese di predisporre lo statuto della nuova Adispro (già negli anni 60 esisteva) e Beppe Martinelli ne divenne presidente. Negli anni ci si rese conto che si tratta di un ruolo delicato, perché se si tratta di assumere iniziative politiche esiste un’esposizione concreta alle ritorsioni personali nell’ambiente lavorativo: allora meglio affidarsi ad un soggetto indipendente, io faccio l’avvocato e vivo di altro".
Qual è il suo compito nell'ambito di Adispro?
"Ne ho assunto la rappresentanza politica e sindacale, cerco di sintetizzare il sentimento della categoria e porto avanti le istanze sia anzitutto di chi siede in ammiraglia, ma di certo nell’interesse generale del settore professionistico, perché se le squadre chiudono non ci sono più corridori da dirigere e rischiano di sparire o comunque di soffrirne anche i DS italiani che non riescono a collocarsi nel World Tour".
Quali sono le principali problematiche di cui andrà ad occuparsi nel nuovo mandato appena partito?
"Il tema più attuale e stringente è quello di salvare e rilanciare per davvero una Lega Professionisti in grado di coalizzare e catalizzare le forze positive del professionismo su strada, o ciò che ne resta. La chiusura della Lega sarebbe un fatto ulteriormente traumatico e gravissimo, si perderebbe l’ultimo punto di riferimento che ci è rimasto. Gli organizzatori devono capire che quella è casa loro, il luogo in cui discutere dei problemi e di progetti comuni, non una controparte".
Il ciclismo italiano è in difficoltà a livello di numeri e budget, di chi è la colpa?
"Fare ciclismo oggi in Italia è diventato quasi impossibile, la burocrazia e i costi ci mettono fuori mercato. Lavorare sulla burocrazia, sui costi e su un sostegno economico serio al settore giovanile è possibile, si invertirebbe la tendenza e si ricomincerebbe a crescere, ma bisogna volerlo e cominciare a lavorare. La Lega è stata delegittimata per anni e adesso è commissariata, per cui mi sembra che l’unico soggetto a cui guardare per individuare un responsabile di questo declino non possa che essere la Federazione Ciclistica Italiana".
Quanto è presente, nel ciclismo, la cosiddetta politica sportiva. E se sì quanto ne risente il mondo del pedale?
"La domanda è mal posta, perché presuppone che la politica porti con sé una negatività, è il sintomo del crollo di fiducia che in Italia hanno le rappresentanze, io stesso come cittadino sono molto scoraggiato. Come in tutti i settori del Paese, anche nello sport è necessaria una rivoluzione culturale neodemocratica che riporti al centro una politica sportiva fatta di etica e di vero senso di responsabilità".
Ad oggi quanti direttori sportivi/tecnici rappresenta l'associazione?
"Un centinaio circa, molti dei quali eccellenze a livello internazionale, maestri di questa professione che portano avanti una vera e propria scuola italiana".
Il ciclismo italiano non sta attraversando un bel momento ma il lavoro dei direttori sportivi italiani è sempre molto apprezzato, anche all'estero. Da cosa nasce, secondo lei, questa attitudine?
"E’ purtroppo l’eredità di un mondo morto, di un movimento ciclistico italiano che non esiste più ma che solo fino a dieci, quindici anni fa era primo nel mondo senza discussione e sotto tutti i punti di vista, per numeri e qualità. A livello internazionale ci rimangono appunto solo i miei DS, Giro d’Italia, Sanremo e Lombardia. In questo momento non abbiamo purtroppo corridori veramente competitivi e rappresentativi per come meriterebbe un Paese come l’Italia, mi sento di fare una sola eccezione citando Ganna, ma mi sono spiegato".
Come vede il futuro del sistema ciclismo a livello internazionale?
"Se per futuro intendiamo il 2023, vedo solo le donne, a cui in Lega volevamo offrire un sostegno e a cui, invece, ci dobbiamo aggrappare e chiedere aiuto".
Da che basi deve partire il rilancio del ciclismo italiano?
"Da una Federazione diversa che metta una parte più cospicua dei suoi 80 dipendenti e delle sue non certo esigue risorse economiche a disposizione del ciclismo agonistico su strada, dagli esordienti ai professionisti, sostenendo società e organizzatori con protocolli chiari con le prefetture che rendano fattibili le corse, dando nuova legittimazione e risorse a una Lega da rilanciare con un progetto chiaro. E’ necessario ricostruire un ambiente i cui protagonisti vengano di nuovo ammirati e sostenuti e non guardati con invidia o addirittura osteggiati. Ad elementi come Ivan Basso o Davide Cassani, per dire, devono essere stesi i tappeti rossi e non complicare loro la vita".
L.L.
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